Sapeurs e fighting cholitas, Daniele Tamagni tra Bolivia e Congo

Willy, uno dei Sapeurs di Brazzeville

Lottatrici boliviane ed eleganti dandy congolesi. C’è qualcosa di totalmente spiazzante negli scatti di Daniele Tamagni. Schiaffi di colore inaspettato, nei posti più insospettabili. Milano ospita la mostra di questo talentuoso reporter, intitolata “L’estetica della trasformazione”. Ed è una definizione azzeccata. Le storie sono due, separate ma parallele.

Nella prima immortala i Sapeurs, ragazzi di Brazzaville, Congo. Normali lavoratori che ogni tanto si trasformano, indossando i loro eccentrici e coloratissimi vestiti firmati. Il loro nome deriva dall’acronimo Sape (società di persone eleganti che fanno ambiente). Portatori sani di uno stile glam e di modi sociali impeccabili. Li invitano ai battesimi e ai funerali, per dare lustro all’evento. Sigaro, scarpe in pelle, cravatta e bretelle. Tutto intorno baraccopoli e povertà. Le fotografie di Tamagni li ritraggono in ambienti squallidi, nei quali i loro abiti sgargianti fanno a pugni con la desolazione circostante.

Un dandy congolese

Altrettanto incredibili sono gli scatti delle Fighting Cholitas, donne boliviane della borghesia aymara tanto care al presidente Evo Morales. Maestre d’eleganza con le loro gonne e il borsalino in testa. Normali signore che poi la domenica salgono sul ring e combattono. Lucha libre, lotta libera. Uno sport molto diffuso in Bolivia, dove il nazional-popolare si mescola con la grazia sorprendente delle lottatrici. Daniele Tamagni ha vinto recentemente il World Press Photo per questi scatti di calci volanti e combattimenti che sembrano venire da un’altra epoca. Se c’è un Oscar Wilde africano e un Fight Club di donne boliviane, allora è vero che: «il mondo è un palcoscenico, dove ognuno recita la sua parte», come recita lo shakespeariano Antonio nel Mercante di Venezia.     

 

Flying cholitas, un combattimento femminile in Bolivia

Meriggi – Ripa di Porta Ticinese, 45 – Milano
Aperto mar-domenica 11.00- 13.00 , 14.00-20.00 o su appuntamento
Ingresso libero, fino al 7 giugno

Informazioni su Pietro Pruneddu

Nato in Sardegna, l‘isola che De Andrè consigliava “al buon Dio di darci come Paradiso”. Emigrante perenne, dopo aver letto un articolo di Mimmo Càndito espongo a mia madre la volontà di diventare un inviato di guerra. Ne ottengo in risposta urla e forse una ciabatta. L’idea però resiste. Per questo sono al Master in Giornalismo Walter Tobagi. Tra l'altro mi innamoro troppo spesso. Dell’alchimia tra la puntina del mio giradischi e un vinile dei Velvet Underground, del rumore del mare incazzato, dei reportage di guerra, della volgarità misogina di Bret Easton Ellis e Bukowski, delle fotografie di facce distrutte dalla vita, dei film in bianco e nero, di Baresi che alza il braccio per chiamare il fuorigioco, degli sguardi in metropolitana, di Pantani che scatta a ripetizione sul Ventoux, delle risate che riempiono i silenzi.
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